venerdì 5 aprile 2013

Proposta Legambiente: Il distretto dell'energia rinnovabile nell'area Brindisi Nord

La centrale termoelettrica Brindisi Nord è l'emblema della storia sbagliata dell'industrializzazione a Brindisi. La centrale termoelettrica Brindisi nord è stata "salvata" dalla sua fisiologica chiusura con Decreti ed atti amministrativi a volte estremamente inquietanti. 
Brindisi Nord, è innanzitutto sorta là dove non avrebbe dovuto essere installata, nell'attuale porto medio e sotto il cono di atterraggio dell'aeroporto, il che ha comportato la presenza di camini alti meno di 60 metri. I gruppi dell'impianto erano, già negli anni sessanta del secolo scorso (nel 1968 è entrato in esercizio il primo) di vecchia generazione francese e furono potenziati da 250 MW di progetto a 320 MW ciascuno. Negli anni '80 numerosi furono i provvedimenti amministrativi concernenti gli effetti delle emissioni, ma ordinanze sindacali, prescrissero lo sgombero di precedenti insediamenti abitativi o la fine di precedenti attività agricole. 
Dal 1990, con i così detti Decreti Battaglia (Ministro dell'industria del tempo), cominciò una sequela di prescrizioni per l'"ambientalizzazione" dell'impianto (nel frattempo passato dall'esercizio ad olio combustibile a quello a carbone, ovviamente senza mai realizzare gli indispensabili desolforatori). La convenzione del 1996 (diventata, in seguito parte essenziale del D.P.R. 28/4/1998 concernente il piano di risanamento dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale) prevedeva il mantenimento in esercizio di due gruppi (640 MW della complessiva potenza nominale di 1.280 MW) da alimentare dal 2000 al 2004 (anno di definitiva chiusura) con metano in misura crescente rispetto agli iniziali 1,2 miliardi di metri cubi anni, in seguito da trasferire nella centrale termoelettrica Brindisi sud. 
La centrale Brindisi Nord è stata da Enel trasferita alla controllata Eurogen e ceduta poi ad Edipower. Nel 2002, "solerti" amministatori locali si affrettarono ad approvare una nuova Convenzione, che sostanzialmente ha finito con l'essere favorevole all'impresa e altrettanto "solerti" Parlamentari approvarono un Decreto di proroga dell'esercizio dell'impianto (unitamente a quello altrettanto insostenibile di S. Filippo al Mela, in Sicilia). 
Il resto è storia di questi ultimi anni e di questi ultimi mesi e si ricollega all'autorizzazione, dopo l'approvazione di una V.I.A. da parte del Ministero dell'Ambiente del progetto di Repowering (due gruppi a ciclo combinato da realizzare, in chissà, quale fantasioso modo, visti gli spazi e l'inesistenza delle connesse infrastrutture). Il Ministero ha in seguito approvato l'A.I.A. che, con un gioco di prestigio, aggiunge all'impianto a ciclo combinato, precedentemente autorizzato, i due gruppi a carbone muniti di desolforatori. 
Sarebbe bastato un semplice sopralluogo sul sito di Costa Morena ed un esame cartografico per capire quanto le opere autorizzate (in presenza anche del carbonile e del tuttora presente stoccaggio di olio combustibile) siano inconciliabili fra loro, con l'approvvigionamento impossibile di metano (nel frattempo destinato alla nuova centrale a ciclo combinato di Enipower), e soprattutto inconciliabile per limiti strutturali incorreggibili, con il territorio ed i suoi equilibri ambientali. 
Edipower, peraltro, non ha mai avuto realmente intenzione di "ambientalizzare" l'impianto o anche di dar corso alle autorizzazioni ricevute, tanto è vero che il suo attuale socio di riferimento A2A, senza presentare un piano industriale ed in assenza di una certificazione Emas, parla genericamente della permanenza di un solo gruppo, da alimentare con un mix di carbone e (10%) CSS (combustibile solido secondario), che altro non è che il CDR. 
È chiara l'intenzione di A2A di guadagnare tempo, di mantenere nel frattempo in esercizio l'impianto nella situazione attuale e di provare forse, a cercare un offerente disposto a rivelare centrali e progetti approvati nell'AIA. 
Le politiche europee su efficienza e fonti rinnovabili (compresa la Roadmap per il 2050), il mercato dell'energia e i costi di produzione e di trasmissione e di distribuzione di energia elettrica non consentono più ritardi, giochi gattopardeschi o manovre aziendalistiche a scapito dei lavoratori, dell'ambiente e del futuro stesso del territorio. 
Legambiente, che più volte ha denunciato la storia sbagliata di BR Nord ed il sonno della ragione (e, a volte, delle coscienze) che l'ha caratterizzata, ha sempre prospettato soluzioni ed intende farlo anche ora, chiedendo in primo luogo, al Sindaco di affrontare con fermezza la questione per giungere rapidamente a definire un programma alternativo, rispetto allo stallo in cui ci si trova attualmente. 
Sin dalla promulgazione delle leggi 426/98 e 471/99 e delle disposizioni in materia di bonifica di siti inquinati, Legambiente ha questo che si investisse seriamente nella caratterizzazione, nella messa in sicurezza e nella bonifica del sito di interesse nazionale (SIN) di Brindisi. Ciò rappresentava, quando Legambiente l'ha proposto, una straordinaria occasione per la riqualificazione del territorio e per imprese e lavoratori locali. 
Da allora, Legambiente, dice apertamente che il futuro di Brindisi nord passa innanzitutto attraverso la bonifica, previo smantellamento e messa in sicurezza, dell'area occupata dall'impianto, a cominciare – e su questo non può esservi alcuna discussione – da quella parte occupata dai gruppi dismessi. Le decisioni e gli accordi in merito sono da definire con urgenza, per evitare il ripetersi di casi scandalosi, quali quelli legati alla “tranquilla” fuga da Brindisi di EVC e Dow Chemical che nulla hanno fatto (o sono state chiamate a fare) a garanzia dei lavoratori e della bonifica dei siti abbandonati. Nei lavori di smantellamento, messa in sicurezza e bonifica andrebbero, ovviamente impiegati gli stessi lavoratori della centrale BR nord, valorizzando la loro conoscenza degli impianti, la loro competenza e la loro disponibilità ad aggiornare la qualificazione professionale. I lavori di bonifica andranno (sul tema non è possibile usare il condizionale) finanziati e realizzati con il diretto impegno di A2A, alla quale società è superfluo ricordare gli obblighi di Legge e quelli rivenienti dall'accordo di programma firmato anche da Edipower, in materia di bonifiche nel S.I.N. 
L'area occupata dalla centrale e dai servizi connessi (circa 60 ettari), una volta bonificata, non può che risultare strategica per la Città. 
Legambiente ritiene fattibile la creazione di un Distretto tecnologico dell'energia rinnovabile così strutturato: 
• Settore ricerca, con il coinvolgimento dell'Università del Salento, dell'Università di Bari (valorizzando studi, progettazioni, sperimentazioni su efficienza energetica, fonti rinnovabili e nanocomponenti), centri ed istituti di ricerca da tempo attivi ed apprezzati nella Regione (e non soltanto), società private operanti in campo energetico; 
• Settore produzione e commercializzazione, che crei una filiera produttiva che tragga fondamento dalle attività di ricerca e porti alla produzione e commercializzazione di macchine e componenti di impianti rinnovabili ed a fornire assistenza tecnica a soggetti pubblici e privati; 
• Impianto termodinamico, il cui esempio più conosciuto è rappresentato in Italia dall'impianto Archimede, fermamente voluto dal Premio Nobel Prof. Rubbia quando era presidente dell'ENEA; l'impianto è formato da collettori termici (che si muovono seguendo il sole, secondo il principio del fototropismo) ispirati al celebre esperimento con gli specchi di Archimede; il calore assorbito viene concentrato su tubi contenenti una miscela di sali di sodio e di potassio che riesce a garantire l'accumulo e la stabilità termica a 550°C, anche nelle ore notturne, in serbatoi; la tecnica termodinamica ha il pregio di migliorare sensibilmente l'efficienza nel processo di captazione, concentrazione, accumulo dell'energia solare e del rendimento nella trasformazione in apposite turbine dell'energia termica in energia elettrica nell'arco dell'intera giornata, indipendentemente dall'irraggiamento diretto dei collettori. 

Il problema relativo legato all'occupazione di suolo dell'impianto termodinamico sollecita il ricorso agli studi ed alle sperimentazioni su ricorso a nanocomponenti, quali nanotubi e nanoantenne in cui eccelle il Massachusset's Institute of Technology (MIT) di Boston, ma che hanno trovato significativo ed autonomo rilievo in Italia e, in particolare, presso l'Università del Salento. Nanotubi di carbonio si sono dimostrati ad altissima conducibilità, ma sono in fase di sperimentazione nanotubi di origine sintetica, ancorati su fosfolipidi combinati con proteine di origine batterica, materiali tutti rigenerabili in solventi secondo i principi della fotosintesi clorofilliana. Ogni nanotubo è lungo 10 nanometri e largo 4 ed ha il pregio di ridurre enormemente il consumo di suolo e di aumentare sensibilmente l'efficienza fino a 100 volte. 
Legambiente ha, in passato, sostenuto la proposta di realizzare un impianto fotovoltaico nell'area che era occupata dal ciclo di produzione del PVC. La condizione pregiudiziale era la bonifica del sito che le istituzioni avrebbero dovuto imporre ad EVC prima della sua fuga da Brindisi e che la nuova società avrebbe dovuto accollarsi. 
Oggi quella proposta, possibilmente rivalutata in impianto termodinamico, resta ipotizzabile alle stesse condizioni e potrebbe essere il fulcro della fornitura di energia elettrica per l'area industriale, purchè accompagnata dal Piano di efficientamento energetico del comparto industriale già richiamato. 
L'impianto termodinamico nell'area da dismettere della centrale Brindisi Nord potrebbe avere, in parte, utenze industriali, ma soprattutto quelle portuali (si pensi soltanto agli impianti di illuminazione ed ai servizi per le attività a terra e per l'alimentazione delle navi, che non dovrebbe più essere assicurata durante la sosta dai generatori elettrici) e nei quartieri limitrofi.